Daniele Novara nuovamente a Salerno

Incontro con l'autore

Lunedì 6 marzo 2023

ore 17.30 presso Sodalis Casa del Volontariato

Via Filippo Patella 2/6 Salerno

 

Locandina Daniele Novara

Giornata della Memoria 2021

Una lavagna virtuale ricca di risorse didattiche per non dimenticare a cura dell'Istituto Montalcini di Salerno

Giornata della Memoria 2020

L'Istituto di Istruzione Superiore Galilei-Di Palo di Salerno ospiterà la Mostra didattica "A lezione di razzismo" dal 23 gennaio al 3 febbraio 2020

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Nuovo libro di Daniele Novara “Organizzati e felici” a Salerno

Salerno 06.12.2019 sito

Qui non ho visto nessuna farfalla

Memoria dell’orrore. Per una pedagogia del riconoscimento critico e del futuro

Doppiamente vittime

Una constatazione forte che parte dalla disamina degli episodi storici di guerra e di violenza, specialmente quando la violenza è stata coniugata nella logica dello sterminio, ci porta a una particolare riflessione sul rapporto fra vittima e carnefice. Come riscontrato da numerosi studi di area psicosocioanalitica[11], la tendenza inconscia della vittima a incorporare parti dell’aguzzino dentro di sé presenta l’inconveniente non certo secondario che in mancanza di una rielaborazione personale e collettiva della violenza subita le vittime si trasformano a loro volta in carnefici, quando le occasioni storiche consentano questa trasformazione. È un processo da un lato arcaico e dall’altro anche estremamente moderno e presente nelle varie situazioni che ci troviamo a seguire quotidianamente sui giornali e sulle Tv di tutto il mondo.

Non esiste la possibilità di uscire indenni dalla violenza subita semplicemente attuando un processo di rimozione e di accantonamento. Al contrario è fondamentale poter reincorporare criticamente il carnefice dentro di sé, rimetterlo al suo posto e creare un dialogo interno che permetta una ristrutturazione dei vissuti d’angoscia non in termini di proiezione, ma in termini di profonda accettazione e quindi anche di assunzione di responsabilità verso se stessi e gli altri.

La vittima va pertanto aiutata nel processo di ricomposizione interna delle figure sadiche che hanno percorso e condizionato la sua esistenza.

Un processo difficile anche per i tanti alunni delle nostre scuole che affrontano la memoria dell’orrore attraverso le visite, i racconti, le testimonianze, le letture, i filmati. Una didattica centrata sulle pure e semplici ragioni delle vittime non aiuterebbe a capire in profondità cosa è successo e anche cosa fare perché l’orrore non si ripeta.

1.    La sostanziale ambivalenza della memoria e la sua assunzione responsabile

La memoria non è neutra. La memoria rappresenta un condensato ideologico per antonomasia, sia perché rispetto alla storia si caratterizza da caratteri di discrezionalità e di arbitrarietà, in quanto legata al ricordo, ma anche perché la memoria è la modalità stessa di appartenenza sociale. Una famiglia si ritrova nella memoria di un continuum genealogico; un gruppo di fedeli si ritrova nella memoria di un continuum religioso. Entrambi mirano a creare rituali idonei a esprimerlo. Entrambe queste constatazioni tendono a creare la necessità e l’urgenza che la memoria rappresenti un processo educativo, più che un processo staticamente conservativo.

In altre parole, nel caso della violenza si può dire senza mezzi termini che la memoria può impedire o enfatizzare la violenza. A seconda delle modalità in cui l’appartenenza stessa alla memoria si crea, ci può essere un’appartenenza memorialistica di carattere omicida, e quindi violenta, ma ci può essere un’appartenenza di memoria nella logica della riconciliazione, dell’incontro, del dialogo, quindi dei valori più nobili della storia umana. La costruzione di un monumento può incentivare e mantenere la tensione vendicativa, oppure può cercare di dare un senso di riconciliazione e quindi di nonviolenza rispetto agli avvenimenti. Il caso più eclatante fu la costruzione dei Monumenti alla Vittoria, realizzata come operazione ideologica, durante il Ventennio Fascista, ossia come operazione non di riconciliazione con il nemico, ma come operazione di esaltazione della retorica militaristica e bellicistica di cui proprio il fascismo del ventennio volle farsi carico in funzione di una appartenenza ai valori bellicistici della guerra in se stessa.

Il processo di civilizzazione della specie umana passa proprio attraverso l’assunzione responsabile della memoria da un punto di vista educativo, anche quando il vincitore è quello che ha usato meglio la violenza stessa. Basti pensare al caso delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, le bombe atomiche “giuste”, che però non possono prescindere da una ricostruzione storica che dia all’evento la sua giusta collocazione per avere una rielaborazione nella logica del “mai più”, del tabù nucleare, così come in effetti è fortunatamente avvenuto nella storia dell’umanità.

2.    Per una didattica capace di problematizzare

Quale pedagogia può essere utile, efficace all’interno di questo processo così impegnativo? Anzitutto dobbiamo assumere coscienza che è più importante favorire nelle nuove generazioni la capacità di un pensiero critico, libero, consapevole, piuttosto che di un pensiero corretto, anche se questo comporta un grande margine di rischio rispetto agli esiti formativi.

Ribadendo le concezioni dei grandi pedagogisti del Novecento, si può dire che la libertà, intesa anche come libertà di pensiero, è sempre formativa. Al contrario una pedagogia centrata sulla risposta esatta presenta i caratteri del conformismo, dell’assuefazione, dell’assecondamento, che spinge a non cogliere la realtà così com’è veramente, ma a filtrarla secondo degli schemi, che appaiono di volta in volta consonanti a determinate logiche ma scarsamente in grado di fronteggiare le sfide che provengono dalla realtà stessa, per favorire una lettura aperta dei problemi e dei conflitti come parte della vita.

L’orrore nasce anche dall’assunzione di “pensieri unici”, di una logica del “pensiero unico”. Da questo punto di vista i totalitarismi sono anzitutto dentro di noi, dentro la persona, quando è bloccata, incapace di staccare rispetto ai tunnel mentali ed emotivi pregiudizialmente presenti, che impediscono la visione divergente - nel senso dell’empatia - delle realtà personali e sociali.

La deportazione è dentro di noi, quando rinunciamo a vivere al meglio la nostra vita, quando rinunciamo alla nostra creatività e al nostro potere personale. La didattica intesa come insieme di strumenti concreti per attivare processi di apprendimento, non può fare a meno di confrontarsi con questa realtà sostanziale, quindi deve essere una didattica liberatoria, una didattica che rifiuta ogni presupposto, ma che cerca, che mette in discussione, che scandaglia proprio per favorire al massimo l’impiego delle intelligenze personali. Potremmo definire questo progetto didattico nella logica della maieutica, ossia della capacità di attivare apprendimenti in grado di sviluppare risorse interne, di creare un’azione personale e sociale adeguata e pertinente.

3.    L’emozione tirannica e l’emozione che cura

Infine, la memoria dell’orrore è anche e specialmente una memoria emotiva. Le emozioni vi giocano un ruolo assolutamente preponderante. Questo è un riconoscimento importante, perché l’emozione attiva il processo di riconoscimento e quindi anche di conoscenza. Nello stesso tempo, una centratura esclusiva sul versante emotivo rischia di essere totalizzante rispetto a una dimensione di decantazione critica e quindi di possibilità di attivare percorsi di ricerca. È un equilibrio difficile da trovare. Senz’altro in una prima fase il riconoscimento delle emozioni, la possibilità di viverle come parti di sé e di accettarle è indispensabile. Ma è anche fondante in questo lavoro la ricerca di una risposta che tenga dentro l’emozione, che la sappia integrare in una visione più ampia. La tirannia emotiva potrebbe risultare particolarmente invalidante nei processi che dalla memoria ci portano a sviluppare nuovi scenari, a tenere dentro, quindi, il dolore, la sofferenza, per riuscire a immaginare qualcosa di diverso, per non cadere nell’impotenza e nel cinismo che a volte la pura e semplice emotività rischia di generare. Si tratta di un equilibrio fragile, difficile, però quanto mai essenziale a questa didattica della responsabilità. Si tratta di costruire uno “stare al mondo” che tenga conto della sofferenza del passato, ma che sappia anche attivare nelle nuove generazioni un bisogno profondo di riscatto e di un futuro diverso.

Daniele Novara

  

Pubblicazioni

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